Siti web senza Partita Iva, non si scherza più

Secondo quanto prevede la legge italiana, la Partita Iva, quella stringa di undici cifre che codifica la titolarità di una libera professione, dal 2001 deve essere riportata su ogni sito web. Tuttavia un rapido focus sui motori di ricerca rivela come siano numerose le realtà aziendali che ancora non rispettano questo obbligo. Normative alla mano, il comma 1 dell’art. 35 del DPR 633/72 precisa tra l’altro che la Partita Iva deve essere indicata “nella home-page dell’eventuale sito web e in ogni altro documento ove richiesto”. La soluzione? Un giro di vite al ritmo di controlli rigorosi e sanzioni pesanti.

Sanzioni fino a 2 mila euro per gli irregolari

Di fronte a una disobbedienza diffusa, soprattutto presso i piccoli e-commerce, il governo ha reso nota ne giorni scorsi l’intenzione di effettuare verifiche a tappeto. Le irregolarità verranno trattate alla stregua di reati, perseguibili con sanzioni amministrative variabile da 258,23 a 2.065,83 euro, trattandosi di violazione agli obblighi di comunicazione prescritti dalla legge tributaria (art. 11, comma 1, lettera a), del DPR 472/97). Per maggiori informazioni è possibile consultare l’interfaccia telematica dell’Agenzia delle Entrate.

Nessuno sconto per le attività dormienti

L’ente tributario è dall’altra parte impegnato con la sanatoria per la chiusura delle Partite Iva inattive, come previsto dal testo della Manovra Correttiva 2011. All’inizio di agosto è tata rilasciata una nuova circolare per chiarire alcuni punti difficili in riferimento all’interruzione delle attività “dormienti” cioè quelle che da più di tre anni non hanno presentato nessuna dichiarazione Iva. L’alternativa per il contribuente è accedere alla sanatoria concessa dalla manovra, che prevede il pagamento di un forfait di 129 € entro il 4 ottobre. Insieme, o meno – questo è ancora da capire – insieme alla dichiarazione di cessata attività.

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